San Giorgio di Gioiosa Marea, Padre Sirna presenta il libro “Il magistero di mons. Angelo Ficarra – Riforme, linee educative e tipologie episcopali”

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Sabato 17 Gennaio, alle ore 17.30, si terrà, presso il Salone Parrocchiale “Spirito Santo” di San Giorgio di Gioiosa Marea, la presentazione del testo “Il magistero di mons. Angelo Ficarra – Riforme, linee educative e tipologie episcopali”, scritto da d. Pio Sirna.

Alla presentazione interverranno, oltre all’autore, anche d. Stefano Brancatelli, d. Pietro Pizzuto e d. Basilio Rinaudo.

L’evento rientra nell’ambito di una serie di iniziative che verranno organizzate in tutto il 2015 per celebrare il centenario dalla nascita della Parrocchia di San Giorgio Martire, che ricorrerà il 15 Dicembre di quest’anno.

IMG_6332Qui di seguito si pubblica la prefazione al testo, curata dalla prof. ssa Nunziatina Bartolone e che ringraziamo, insieme a d. Pio Sirna, per la gentile concessione:
«Quando fu pubblicato il volumetto di Sciascia “Dalla parte degli infedeli”, la vicenda relativa all’episcopato pattese di mons. Angelo Ficarra sconfinò dal contesto territoriale diocesano e regionale e si impose, letterariamente parlando, all’attenzione nazionale. Sciascia scriveva quel testo nel 1979 e il clima politico italiano era arroventato da forti tensioni partitiche e dalle fratture sociali da cui erano fuoriuscite cellule malate di strategie del terrore e del sospetto. “Dalla parte degli infedeli” non poteva non essere letto in chiave fortemente politica di contestazione alla Chiesa e al partito della maggioranza assoluta che da una parte si proponeva aperto al dialogo con le altre componenti di minoranza e dall’altra esitava, negava responsabilità, si trincerava forse nell’autoreferenzialità del proprio nome e delle proprie immunità. A Sciascia, forse, doveva essere riconosciuto un altro merito che passò in secondo piano: quello della ricostruzione cronologica degli eventi attraverso il carteggio epistolare, pur incompleto, affidatogli dai familiari e della scelta di aver messo in rilievo, attraverso uno stile graffiante, il profondo senso di giustizia e di integrità morale di un uomo divenuto vescovo, universalmente riconosciuto come “dotto e santo”.LocandinaSirna2
Sulla scia dello scrittore siciliano altri hanno percorso lo stesso sentiero di ricostruzione storica o pseudo tale, innescando spesso una sequenza di polemiche, aliene tanto dalla personalità dello stesso Ficarra quanto dal rigore che esige una ricostruzione storica. Lo stesso Sciascia non operò da storico, scrisse da uomo di lettere curioso ed interessato alle sue storie e ai suoi personaggi che la sua penna delineava, definiva, collocava in un contesto per conoscerlo e rivelarlo ai suoi lettori. Era arguta la penna di Sciascia e certamente si soffermò su aspetti e personaggi di dubbia integrità e correttezza, ma in quelle pagine il Ficarra che si descriveva poco o nulla aveva a che fare con gli intrighi di potere e le alleanze su cui spesso si tesse la trama della storia. Non a caso per la copertina del libro, edito dalla Sellerio di Palermo, si scelse la riproduzione del particolare del “San Girolamo nello studio” di Antonello da Messina, richiamando così l’immagine dell’uomo dotto che più si addiceva a mons. Ficarra. San Girolamo, infatti, era stato l’oggetto di indagine della tesi di Laurea del giovane Ficarra, nel 1914: approfondendo gli studi patristici, ancora poco trattati se non da alcuni studiosi e non molto noti, contribuiva a suscitare un nuovo interesse culturale. La tesi, pubblicata nel 1918 e menzionata già nell’enciclopedia Treccani alla voce dello scrittore latino, fu definita “un eccellente lavoro” dal Bollettino di Filologia classica e “La posizione di San Girolamo nella storia della cultura” avrebbe rappresentato sicuramente la prima tappa di una brillante carriera di studi classici se la storia e le vicende umane non avessero condotto mons. Ficarra su ben diversi sentieri di vita e di azione.
La storia dunque prima protagonista, con il suo intreccio complesso di fatti e di uomini che hanno agito in questo passato non così lontano da potersi considerare definitivamente archiviato e in un luogo troppo vicino da non avvertire ancora l’eco di quei protagonisti e comparse di allora su una scena che non aveva soltanto come sfondo Patti, ma l’intera nazione, quella che riemergeva dalle macerie di una guerra e dai disastri morali e sociali delle dittature passate e di quelle imminenti; Patti non era del tutto ignara ed innocente di fronte agli occulti poteri di associazioni che costituivano la linfa, più o meno vitale, di quel nuovo corso.
Quel periodo storico è il soggetto principale di questa accurata disamina degli anni in cui mons. Ficarra fu vescovo di Patti e proprio questa accuratezza analitica dei documenti lascia intravedere una risoluzione al complesso e ancora dibattuto “caso Ficarra” alla luce di una ricostruzione di date e fatti ragionata. I riferimenti chiari, e non affatto casuali, della prima parte del presente volume permettono di rileggere la storia locale in rapporto a quella patria dei cui riflessi non si è magari tenuto molto in conto nei piccoli contesti, microcosmi in cui sembrava non essere filtrata l’influenza dei vari orientamenti che avevano progressivamente differenziato e diviso le correnti di partito. Cosa c’entrava Ficarra con tutto questo? Era egli un uomo di cultura e nell’elenco dei libri della sua biblioteca personale, anch’esso sicuramente incompleto come il carteggio epistolare, ritroviamo i titoli di testi moderni su cui si documentava, non solo seguendo i dibattiti riguardanti l’Italia, ma anche problematiche di più vasto respiro internazionale se consideriamo che nel 1950, unico fra i vescovi siciliani, aderì all’appello per la pace di Stoccolma contro gli ordini nucleari: in tutta l’isola i firmatari di questo documento furono 814.000. Quanto avveniva intorno a lui, quasi parafrasando l’antico verso di Terenzio, non era quindi a lui alieno, ma lo riguardava non in vista di una posizione politica da assumere, bensì di una prospettiva di fede, di morale, di società civile da desumere per il compito che gli era stato affidato in quanto pastore di anime in una diocesi che non stava né meglio né peggio di tante altre realtà meridionali, in cui il tasso di alfabetizzazione era ancora scarso e le esigenze quotidiane e contingenti più impellenti certo delle promesse “ad meliora” o “ad posteros dies”.
Lo spessore educativo e, non certo secondariamente, quello spirituale sono riscontrabili, senza margine di dubbio, nelle sue Lettere Pastorali, pazientemente e sapientemente raccolte in un unico volume da don Franco Pisciotta, cui è possibile attingere per comprendere tutto il senso profondo del “munus” , del compito doveroso cui Ficarra si sentì chiamato, rifiutando la definizione di “programma” per la sua azione pastorale poiché questo poteva sembrare “abbozzato dagli uomini”, mentre quello “è tracciato da Dio”. Uno stile semplice, ma mai banale, anzi ancora più elegante per la ricerca accurata di elementi sintattici che non siano mai né ripetitivi né scontati, ma piuttosto inducano ad una riflessione più attenta del messaggio che si intende divulgare: si offre tutta l’efficacia di quel “forte sentimento di responsabilità” con cui si propose nella Chiesa pattese, facendosi diffusore della dottrina cristiana con l’autorità del magister e l’umiltà del discens. Come non avvertire tutta la consapevolezza di un impegno totale della persona nella proposta educativa alla fede, ma anche alla vita sociale, nella sua prima lettera di saluto alla diocesi quando si dichiara la necessità di dover <>. La sua azione pastorale appare sempre sostenuta da un sapere a lungo meditato e il suo piano di metodologia educativa appare quanto mai innovativo se si tiene conto che ha certamente avuto come modello per l’azione S. Agostino e il suo celebre “De catechizandis rudibus”, ma ha in mente l’organizzazione dell’insegnamento della scuola pubblica. Lo Stato, dunque, nelle sue forme istituzionali è modello cui rapportarsi e confrontarsi perché l’individuo sia educato come soggetto attivo e non come ricettore passivo, sia nella dimensione religiosa e spirituale quanto in quella culturale e civile poiché <>.
Sono numerosi e da rivalutare i passaggi efficaci di questo “munus” educativo del suo episcopato e certamente vale la pena citare ancora un passo delle Lettere per mettere in evidenza il pragmatismo, non privo di paterna comprensione dei tempi e degli uomini che li vivevano, con cui andava, o meglio dovrebbe essere espletato, quel dovere: <>. Grave è da intendere come “oneroso”, come un carico da prendere su di sé e deporre solo quando l’incarico è stato portato a termine; seriamente risuona come un monito al pari di una forma imperativa verbale: senza tentennamenti e divagazioni, senza ritardi o rinvii, ma con correttezza, con la capacità e la volontà di assolvere i propri doveri e gli impegni assunti.
L’uomo dotto divenuto vescovo fu pienamente consapevole del dovere cui era stato chiamato e dell’impegno assunto, davanti a Dio, per la salvezza delle anime che gli erano state affidate: il suo ministero episcopale appare limpidamente intriso di quella profonda humanitas intesa in senso classico quanto cristiano. Fu uomo di cultura, educatore, sacerdote, vescovo: non poteva essere altro né ad altro essere chiamato.»

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